Gli infortuni sul lavoro rappresentano una piaga che riguarda il mondo occidentale da moltissimi anni e, in particolare, il contesto italiano. Il lavoro è fonte di reddito e sostentamento; la Costituzione stessa, nel primo dei dodici principi fondamentali, richiama come valore fondante della società proprio il lavoro.
Eppure, nel complesso contesto lavorativo, frutto delle modificazioni continue degli ultimi anni, nonostante le condizioni di lavoro si siano costantemente evolute in meglio, il tema degli infortuni rimane sempre pressante e portante, per un’analisi accurata e obiettiva del sistema lavoro europeo.
Non è un caso, ad esempio, che l’organizzazione internazionale per il lavoro abbia introdotto una giornata appositamente dedicata alla riflessione sul tema e alla prevenzione, unanimemente concordata per il 28 aprile di ogni anno. Non solo. Storicamente la questione degli infortuni sul lavoro è stata oggetto di battaglie civili da parte di intere generazioni di lavoratori, che hanno prodotto miglioramenti notevoli, ma che non hanno avuto l’esito finale di arginare il problema.
Ecco perché ancora oggi il lavoro produce situazioni drammatiche, con numeri che vanno a configurare una vera e propria emergenza. E, in questo quadro, una società altamente industrializzata come quella italiana paga un prezzo davvero notevole, con elementi di preoccupazione molto significativi, tanto da far considerare il tema degli infortuni sul lavoro come un tema di emergenza nazionale a tutti gli effetti.
Il tema degli infortuni sul lavoro è un tema che riguarda il Continente europeo da sempre, da quando l’industrializzazione ne ha caratterizzati l’economia e lo sviluppo. È stato considerato erroneamente, spesso, in passato, come un dazio da pagare alla modernizzazione, senza tenere in considerazione che l’evoluzione civile di un continente, di uno stato o di un sistema sociale, non deve per forza prevedere dazi di questa gravità.
A redigere l’andamento statistico degli infortuni sul lavoro a livello continentale è Eurostat, l’agenzia statistica della UE, che per tracciare un dato realistico ha faticato non poco, dovendo fare i conti con legislazioni differenti per ognuno degli stati aderenti all’Unione, in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Oggi le statistiche Eurostat sono in ogni caso considerate le più affidabili per il contesto comunitario. E tali statistiche non sono di certo confortanti. Basti pensare che in 12 stati membri, nel 2020, nonostante il rallentamento per via della pandemia da Covid 19, gli infortuni sul lavoro sono aumentati rispetto agli anni precedenti arrivando all’incredibile quota di 2 milioni e 700 mila infortuni, dei quali 3.355 con esito mortale.
In questo quadro europeo, purtroppo, la nostra nazione paga lo scotto maggiore: nel 2020, proprio l’Italia è stato lo Stato europeo in cui si è verificato il maggiore aumento di infortuni con esito mortale (285 vittime in più rispetto al 2019). Ma è il quadro previsionale futuro a mettere realmente in allarme.
Continuando di questo passo, infatti, la stima è che si parlerà di infortuni mortali sul lavoro in Europa almeno fino al 2062, ovvero fra circa 40 anni costando la vita ad altre migliaia di persone. Il tutto nonostante le campagne per “zero morti” sul luogo di lavoro, che vedono le parti sociali europee collaborare ormai da diversi anni.
Sicuramente si sono fatti diversi passi avanti rispetto agli anni 50 e 60 del secolo scorso, ma il miglioramento delle condizioni di lavoro legato alla modernizzazione, non è corrisposto con un forte calo degli infortuni. Ecco perché siamo ancora a parlare di emergenza continentale e nazionale.
Scopri come possiamo supportare la tua azienda nella prevenzione degli infortuniNormalmente gli infortuni sul lavoro possono essere di svariate tipologie, nella dinamica di differenziazione che ha preso piede nel corso degli anni. Gli infortuni sul lavoro non si misurano, se non soltanto parzialmente, in funzione della gravità, ma in funzione dell’esito finale.
Così, in ambito statistico, un infortunio grave è considerato nel quadro numerico esattamente come un infortunio lieve. Ma è importante partire dalla definizione di infortunio sul lavoro, che può essere riassunta in questo modo: viene considerato come “infortunio sul lavoro” un accadimento fisico o psichico dannoso direttamente correlato a cause professionali. Questo comporta che non è infortunio sul lavoro soltanto un accadimento avvenuto durante l’orario di lavoro o sul posto di lavoro, ma anche per cause connesse al lavoro, quindi, anche, ad esempio, nel percorso per raggiungere il luogo di lavoro (quelli che vengono categorizzati come “infortuni in itinere”).
In linea di massima, tuttavia, gli infortuni sul lavoro vengono suddivisi in due tipologie principali:
Esiste poi una terza e molto corposa categoria, ovvero quella delle cosiddette “malattie professionali” ovvero le patologie insorte in un lavoratore per cause direttamente collegabili all’attività professionale e alle condizioni nelle quali quell’attività professionale si svolge.
Importante una sottolineatura ulteriore: da non confondere l’infortunio sul lavoro con la denuncia di infortunio sul lavoro. La legislazione, infatti, prevede che in Italia l’infortunio sul lavoro debba essere riconosciuto effettivamente come tale al termine di indagini e approfondimenti. Per cui il primo passaggio è sempre quello di “denuncia di infortunio” ma non è detto che, al termine del percorso, si tramuti in “infortunio” a tutti gli effetti. Fra i due passaggi si svolge un’istruttoria di indagine che a volte può durare anche molti mesi e avere l’esito di riconoscere oppure disconoscere come infortunio l’accadimento.
La categoria degli “infortuni sul lavoro” è di fatto quella più ampia e complessa, perché comprende una rosa di possibili accadimenti davvero molto ampia.
Secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per infortunio sul lavoro si intende “ogni lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità lavorativa”. In questo quadro di definizione, gli elementi integranti l’infortunio sul lavoro sono la lesione, la causa violenta, l’occasione di lavoro.
E il Ministero specifica che “Il concetto di occasione di lavoro richiede che vi sia un nesso causale tra il lavoro e il verificarsi del rischio cui può conseguire l’infortunio. Il rischio considerato è quello specifico, determinato dalla ragione stessa del lavoro”. Con queste specifiche, il tracciato dell’infortunio sul lavoro appare, come detto, molto ampio, ma circoscrivibile, riportandolo ai tre aspetti principali:
Da specificare che non c’è una distinzione fra “dolo” e “colpa” nell’ambito degli infortuni, poiché l’infortunio sul lavoro, per essere considerato tale, è disgiunto dalla causa dell’accadimento: se per una condizione esterna, per una mancanza del lavoratore o per un episodio legato al dolo.
L’infortunio viene valutato in sé, non dalla causa. E anche per queste motivazioni, è considerato infortunio sul lavoro anche quello occorso “in itinere” ovvero durante il percorso dal domicilio del lavoratore al luogo di lavoro, sia in fase di andata (il viaggio per raggiungere il luogo di lavoro) sia in fase di ritorno (il viaggio per tornare al proprio domicilio dopo avere terminato il lavoro). Questo fa sì che il tragitto ivi definito sia annesso in ogni caso al “lavoro” e, per quanto attiene il capitolo infortuni, si tratta di una sorta di anticipazione e prolungamento dell’orario di lavoro.
Ovviamente, ma la specifica è d’obbligo, l’infortunio si verifica all’interno di un arco temporale e non fisico. Non soltanto “sul luogo di lavoro” ma all’interno “dell’orario di lavoro” comprendendo quindi anche mansioni al di fuori dall’azienda, missioni, etc.
Questa categoria rappresenta in assoluto l’aspetto più agghiacciante dell’intero capitolo degli infortuni sul lavoro, ovvero quando l’accadimento ha un esito fatale e coincide con la perdita della vita del lavoratore.
Parrebbe dover essere una “casistica limite”, ma i dati non dicono questo. Gli infortuni mortali sul lavoro vengono anche chiamati impropriamente, ma con un’identificazione molto diretta, “morti bianche”. Questa definizione, che può sembrare un po’ particolare, in realtà fonda radici nel fatto che non c’è un vero e proprio autore dietro all’uccisione della persona, ma proprio l’accadimento lavorativo è l’autore, per questo si utilizza spesso il termine “bianco”.
La definizione di infortunio mortale sul lavoro è del tutto simile a quella di infortunio generico, ma comprende la casistica più grave ovvero, quando l’accadimento provoca la morte dell’infortunato.
Come anche per l’infortunio “generico” i limiti dell’accadimento fatale non sono di natura fisica, ma di arco temporale. L’infortunio mortale, infatti, per essere considerato tale deve accadere all’interno dell’arco temporale che il lavoratore dedica al lavoro e agli spostamenti funzionali a raggiungere il lavoro (qualsiasi luogo indicato per svolgere la propria mansione) sia in andata che in ritorno. Per questo si parla anche di infortuni mortali “in itinere”.
Come anche per gli infortuni che non si configurano con la perdita della vita, gli infortuni mortali prima di essere riconosciuti prevedono un’istruttoria di indagine e verifica che viene svolta dagli anti preposti, in questo specifico caso l’INAIL, eventualmente coadiuvato dalla magistratura e dalle forze di polizia.
Terzo macrosettore che caratterizza gli accadimenti negativi e nocivi direttamente collegati al lavoro è quello delle malattie professionali, una piaga che è caratterizzata da un crescendo inarrestabile negli ultimi anni.
Secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali “La malattia professionale è un evento dannoso che agisce sulla capacità lavorativa della persona e trae origine da cause connesse allo svolgimento della prestazione lavorativa. La causa agisce lentamente e per gradi sull’organismo del soggetto e deve risultare in diretta relazione con l’esercizio di determinate attività nelle quali trovare la propria origine”.
La definizione appare piuttosto esaustiva. Si tratta di un evento dannoso che non è accomunabile all’infortunio (agisce lentamente e per gradi e non, come nel caso dell’infortunio, in forma immediata), ma che, come l’infortunio, ha un effetto dannoso, più o meno grave, nei confronti del lavoratore.
Inoltre, sempre secondo questa definizione, la malattia professionale deve agire sulla capacità lavorativa della persona (quindi produrre una menomazione rispetto alle normali capacità sia a livello fisico che a livello psichico, comunque parzialmente o totalmente invalidante) e deve trarre origine da cause connesse alla prestazione lavorativa.
In questo caso l’istruttoria è molto complessa e spesso dura molto tempo, perché l’esito deve dimostrare il nesso di causalità fra la malattia del lavoratore e il lavoro svolto dallo stessoo le condizioni in cui quel lavoro viene svolto.
Lo Stato italiano ha mappato in una tabella le malattie considerate professionali (D.M. 10 giugno 2014), ma successive sentenze della suprema Corte hanno ribadito il concetto che ogni malattia, se dimostrata la diretta connessione con il lavoro della persona, è da considerarsi una malattia professionale.
Scopri come possiamo supportare la tua azienda nella prevenzione degli infortuniIl tema degli infortuni sul lavoro è tenuto in fortissima considerazione sia in ambito comunitario europeo che nei sistemi di governo delle politiche legate al lavoro dei singoli stati. Tuttavia, ad oggi appare ancora impossibile tracciare un quadro numerico esplicativo e preciso (o comunque il più possibile vicino all’affidabilità) del contesto europeo.
La problematica è legata ai diversi modi di categorizzare gli accadimenti nel mondo del lavoro, che sono diretta conseguenza delle legislazioni dei singoli stati della UE. I diversi percorsi di istruttoria, le diverse casistiche contemplate e, in generale, i diversi sistemi, impediscono quindi di avere un quadro europeo.
Negli ultimi anni l’agenzia Eurostat ha tentato di accomunare il sistema, ma ad oggi i dati che risultano più utili ad un’analisi sono quelli di contesto di un singolo Stato. Nel nostro preciso caso, ovvero quello italiano, il quadro numerico degli infortuni sul lavoro, comprendente infortuni generici (più o meno gravi), infortuni con esito mortale e malattie professionali è tenuto dall’INAIL, l’istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, a cui è demandata anche l’esecuzione delle politiche di prevenzione definite di concerto con il Governo e con gli altri enti preposti.
L’INAIL, attraverso il suo servizio di OPEN DATA rende disponibili pubblicamente (e a libero accesso di ogni cittadino) una serie di dati e rilevazioni statistiche in merito all’andamento dei fenomeni di infortunio e malattie professionali nell’ambito del lavoro italiano. La periodicità con cui INAIL diffonde i propri dati è diversificata: report mensili e bimestrali che riportano le denunce di infortunio pervenute all’Istituto (ma alle quali deve obbligatoriamente seguire l’istruttoria per essere riconosciuti o no come tali), sommatorie semestrali o annuali (sempre delle denunce) e report definitivi annuali.
Il report più importante è la “relazione annuale INAIL” che riporta i dati di un anno intero e che viene solitamente diffusa a giugno dell’anno successivo a quello a cui si riferisce la statistica. L’INAIL è l’unico ente in grado di avere un quadro affidabile in quanto è distribuito capillarmente con una rete nazionale che prevede sedi in ogni provincia italiana e tali sedi sono l’organismo deputato a raccogliere le denunce di infortunio da parte delle aziende e dei lavoratori. Escluse da queste indagini sono alcune categorie di lavoratori che non sono assicurati da INAIL ma da altre situazioni generate allo stesso scopo da ordini professionali o associazioni di categoria specifici.
È significativo sottolineare in questa guida che il fenomeno degli infortuni sul lavoro (di qualsiasi genere) non è subito in forma passiva da parte dello Stato italiano, che, al contrario, ha adottato nel corso degli anni una serie di strumenti volta a contrastare l’andamento dei dati.
L’evoluzione normativa, in questo caso, è divenuta strumento sempre più efficace per cercare di contrastare il fenomeno. La normativa “quadro” (che, quindi, riunisce tutte le altre normative in materia in una sorta di maxi sintesi) del settore è il decreto 81/2008, che traccia proprio tutti gli aspetti in merito alla salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro (anche andando a prevedere responsabilità precise e figure ben determinate), ma il solo rispetto di questa normativa può non rivelarsi sufficiente per avere effetti positivi visibili e concreti. Questo perché esistono molteplici variabili che intervengono nel tema della sicurezza sul lavoro, sia di natura culturale (sempre più spesso si sente ragionare su un “approccio culturale” alla materia), che di natura operativa.
In linea di massima, la strategia che unisce aspetto culturale e aspetto operativo verte interamente sulla percezione del rischio e su un principio ben preciso: la sicurezza non si trova all’esterno del luogo o del lavoratore (non è quindi una mera condizione esterna), ma si trova in primo luogo all’interno della persona, nella sua capacità di prevedere i rischi, di evitarli e di difendersi attraverso un approccio di “autoprotezione”. Tale approccio è condiviso anche in ambito europeo e rappresenta il perno attorno al quale fanno leva le varie giornate di riflessione fissate nel calendario delle imprese comunitarie e l’attività di molteplici associazioni/enti che dedicano la loro mission a questa materia. Sul fronte di un aiuto concreto verso l’aumento delle condizioni di sicurezza da parte delle imprese, tuttavia, l’INAIL interviene anche con alcune agevolazioni: la più importante è rappresentata dal bando ISI, un bando rivolto alle imprese italiane, che finanzia con percentuali molto elevate sull’investimento (fino al 65 per cento e fino a 130 mila euro) interventi volti ad aumentare la sicurezza dei lavoratori (dal 2010 l’INAIL ha investito su questo bando oltre 3 miliardi di euro, distribuendoli alle imprese).
L’altro capitolo è quello che viene chiamato OT 23, ovvero uno “sconto” significativo (la riduzione del tasso medio della tariffa dovuta dalle aziende all’Istituto) che l’INAIL accorda alle imprese considerate virtuose, ovvero quelle che mettono in atto interventi e iniziative rivolti all’aumento della sicurezza dei loro lavoratori, che esulano dai meri obblighi normativi in materia.
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