Con lo shock dovuto alla diffusione del Covid-19, da febbraio 2020 moltissime imprese in Italia stanno subendo un crollo dei fatturati, che prosciuga la loro liquidità, a fronte di esborsi che restano necessari.
Ora il rischio è che si generi una diffusa crisi di solvibilità nel settore produttivo, anche per imprese con bilanci solidi prima del Covid-19.
Per molte imprese, ciò preannuncia un calo drastico degli investimenti, stimato in -10,6% nell’anno, a livello nazionale.
E’ stato stimato, in uno scenario di fine epidemia a giugno, il fabbisogno di liquidità nel 2020 in 30 miliardi di euro, di cui gran parte necessari tra aprile e giugno; diventerebbero 80 miliardi in uno scenario pessimistico con fine epidemia a dicembre. Senza moratoria sui prestiti (misura varata a marzo, per le PMI libere da sofferenze), queste cifre salgono a 42 e 107 miliardi. Se si includono le imprese che già avevano problemi di liquidità, si arriva a 57 e 138 miliardi.
Che fare? Bisogna impiegare ingenti risorse pubbliche per fornire oggi liquidità alle imprese e rendere possibile la ripartenza, una volta terminata l’emergenza sanitaria. Cruciale è la tempistica: occorre agire subito, per evitare crisi di imprese già nei primi mesi. Confindustria indica nel potenziamento del Fondo di Garanzia la strada maestra da seguire, per aumentare la concessione di prestiti bancari alle imprese. Si stima che le garanzie pubbliche possano avere una “leva” di 1 a 14, cioè ogni euro di soldi pubblici può far arrivare 14 euro di prestiti alle imprese.
Tale potenziamento si basa sull’assunzione che il sistema bancario italiano, grazie all’elevata quota di garanzie pubbliche, sia in grado di generare un grande ammontare di credito addizionale in tempi brevi: ciò andrà monitorato con attenzione. Questi prestiti andranno poi rimborsati alle banche; in caso di un eventuale inadempimento dell’impresa si ricorrerebbe alla garanzia, quindi si spenderebbero fondi pubblici: cruciale è stabilire un ammortamento dei prestiti su orizzonti sufficientemente lunghi, ai massimi consentiti per legge.
(Fonte: Centro Studi Confindustria)