La recente sentenza n. 25645/2023 della Corte di Cassazione mette in luce l’importanza della corretta gestione dei dati raccolti tramite strumenti tecnologici nell’ambito del rapporto di lavoro.
La sentenza riguarda il caso di un dipendente licenziato nel 2010 a causa di un utilizzo improprio del badge di un collega per timbrare le presenze e occultare il mancato rispetto dell’orario di lavoro.
Un aspetto cruciale di questa decisione è che all’epoca vigeva una diversa formulazione dell’art. 4 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), che richiedeva un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o l’Ispettorato del Lavoro per l’uso di strumenti di controllo dell’attività lavorativa, inclusi quelli automatizzati per la rilevazione delle presenze.
Inoltre, sia allora che ora, la legislazione italiana non ammette la verifica indiscriminata dell’attività lavorativa. L’installazione di sistemi audiovisivi o di strumenti tecnologici richiede una giustificazione basata su esigenze organizzative, produttive o di sicurezza sul luogo di lavoro. Anche il controllo a distanza dei lavoratori è ammesso solo dopo aver compiuto tali giustificazioni.
Nel caso in questione, i dati raccolti attraverso un sistema elettronico di rilevazione delle presenze sono stati utilizzati per verificare l’adempimento degli obblighi del dipendente senza la previa consultazione delle rappresentanze sindacali o dell’Ispettorato del Lavoro. La Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità del licenziamento e ha ordinato la reintegrazione del dipendente poiché i dati raccolti non erano stati ottenuti in modo conforme alla legge.
Questo principio ha anche un’importanza attuale, in quanto l’art. 4 della Legge 300/1970 è stato modificato nel 2015. Anche se la formulazione attuale sembra escludere gli strumenti utilizzati dai lavoratori per svolgere le prestazioni lavorative dagli obblighi di legge, il Ministero del Lavoro ha chiarito che ciò vale solo se questi strumenti non subiscono modifiche che possano potenzialmente consentire il controllo dell’attività lavorativa.
Inoltre, l’uso dei dati raccolti a fini disciplinari è subordinato alla diffusione di un regolamento che informa i lavoratori sulle modalità di utilizzo degli strumenti e dei controlli.
La recente sentenza della Corte di Cassazione riporta dunque, una volta di più, l’attenzione sulle procedure aziendali che i datori di lavoro devono attuare per non vanificare provvedimenti espulsivi in astratto giustificabili.
Fonte: Il Sole 24 Ore – di Francesca Servadei