La Corte di Cassazione ha esaminato una sentenza riguardante un caso in cui si è verificata una divergenza tra la Corte di Appello e il Tribunale riguardo alla responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul lavoro. Nel caso in questione, un socio di una società è rimasto gravemente ustionato mentre stava eseguendo riparazioni meccaniche su un furgone utilizzando un cannello a gas, il quale ha causato un incendio propagatosi all’interno dell’abitacolo.
Inizialmente, il Tribunale aveva condannato il datore di lavoro per alcune violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, tra cui l’omessa valutazione del rischio e la mancanza di formazione e informazione del lavoratore. Tuttavia, la Corte di Appello ha ribaltato la sentenza, assolvendo il datore di lavoro e ritenendo abnorme il comportamento del lavoratore durante l’incidente.
La Corte di Cassazione, su ricorso del Procuratore Generale della Corte di Appello, ha richiamato due principi di diritto fondamentali:
Nella sentenza oggetto del ricorso, la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte di Appello, ritenendo la ricostruzione dei fatti poco attendibile a causa di alcune criticità. Di conseguenza, ha rinviato la causa alla Corte di Appello territoriale di provenienza per ulteriori approfondimenti e per una nuova valutazione del caso.
La Corte di Appello ha emesso una sentenza di integrale riforma riguardo a un caso in cui il Tribunale aveva originariamente riconosciuto il legale rappresentante di una società come responsabile di omicidio colposo e in violazione delle norme antinfortunistiche. Il legale rappresentante era stato condannato a una pena ritenuta appropriata, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili, e la società era stata sanzionata ai sensi della legge 8 giugno 2001 n. 231. Tuttavia, la Corte di Appello ha assolto l’imputato per mancanza di prove del fatto e ha revocato sia le statuizioni civili sia le sanzioni contro l’ente.
Il caso riguardava la morte di un lavoratore meccanico che era stato trovato gravemente ustionato nell’officina della società. Il lavoratore era stato trasportato d’urgenza in ospedale ma era purtroppo deceduto otto giorni dopo. Al momento dell’arrivo dei soccorritori, un incendio era in corso all’interno del veicolo sollevato sul ponte e nella parte alta dell’edificio.
Il Tribunale aveva concluso che il meccanico si trovava all’interno della cabina di guida di un furgone posizionato in alto su un ponte sollevatore, mentre stava eseguendo riparazioni alla frizione del cambio usando una doppia saldatura con la saldatrice a filo continuo e il cannello a gas. L’esplosione provocata dal cannello a gas aveva causato l’incendio che si era propagato rapidamente alle parti infiammabili del veicolo e alle pareti dell’edificio, causando gravi ustioni al lavoratore e la sua successiva morte.
Il legale rappresentante della società era stato riconosciuto colpevole per aver omesso di valutare adeguatamente il rischio dell’operazione in corso e per non aver fornito una formazione e informazione adeguata al lavoratore.
Tuttavia, la Corte di Appello ha completamente riformato la sentenza, evidenziando gravi lacune nella ricostruzione dei fatti. Le modalità di introduzione e uscita del lavoratore dall’abitacolo dell’auto, l’assenza di lesioni da esplosione sul corpo del lavoratore, la questione dell’idoneità del “cannellino” per l’attività svolta, e il motivo per cui il lavoratore non indossava la maschera da saldatore, sono stati elementi determinanti per la decisione della Corte di Appello.
La Corte ha anche sottolineato che il canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” non era stato superato nel caso in questione, e pertanto ha assolto l’imputato. La sentenza è stata rinvita alla Corte territoriale di provenienza per ulteriori indagini e un nuovo giudizio alla luce delle lacune evidenziate.
Il Procuratore Generale della Corte di Appello ha presentato un ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte stessa, basandosi su un unico motivo che denuncia una presunta violazione di legge dovuta a motivazioni contraddittorie e illogiche.
In particolare, il ricorrente ha sottolineato l’illegittimità e l’erroneità della decisione di ribaltamento del verdetto senza una confutazione specifica e completa delle argomentazioni presenti nella sentenza di primo grado. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe trascurato il contenuto delle testimonianze dei colleghi di lavoro della vittima, i quali hanno dichiarato che il lavoratore infortunato entrava spesso, anche con difficoltà, attraverso il finestrino dei furgoni sopraelevati sul ponte per effettuare riparazioni. Inoltre, i colleghi hanno affermato che quel giorno la vittima stava eseguendo lavori che richiedevano di operare sia dal basso che dall’alto. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello non abbia tenuto in considerazione le gravi violazioni della disciplina sulla sicurezza e le carenze informative verso i lavoratori.
Il datore di lavoro e la società hanno presentato una lunga memoria a sostegno della richiesta di dichiarare il ricorso inammissibile o, comunque, di rigettarlo. Essi hanno evidenziato ragioni a supporto della tesi secondo cui la vittima non poteva trovarsi all’interno del veicolo al momento dell’incendio. Hanno sottolineato la stranezza e l’inspiegabilità dell’assenza di ferite da taglio o graffi sul corpo della vittima, qualora fosse uscita attraverso finestrini rotti. Inoltre, hanno fatto notare l’assenza di segni di saldatura sul furgone, proponendo la possibilità che la vittima abbia manomesso volontariamente la bomboletta del gas al fine di auto-procurarsi un infortunio, presumibilmente per ottenere denaro. Hanno suggerito che la vittima potrebbe aver avuto problemi finanziari dopo aver perso denaro a un video-poker e potrebbe non aver valutato le conseguenze distruttive delle sue azioni. Infine, è stato precisato che né l’imputato né la società sono mai stati datori di lavoro della vittima.
Il caso rimane aperto in attesa di una decisione dalla Corte di Cassazione che dovrà valutare attentamente le argomentazioni presentate da entrambe le parti e giungere a una conclusione riguardante la responsabilità del datore di lavoro e della società nell’infortunio.
La Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte di Appello riguardante un caso di infortunio sul lavoro, osservando che la sentenza di secondo grado si è limitata a considerazioni brevi e generiche, affermando in sostanza che, poiché la dinamica dell’incidente non era chiara, non poteva essere escluso un comportamento abnorme da parte del lavoratore coinvolto. Questo argomentare, secondo la Corte di Cassazione, andava in netto contrasto con due principi consolidati di diritto.
Il primo principio sottolineato riguarda la motivazione della sentenza di appello che riformi una condanna di primo grado, giungendo a una sentenza di assoluzione. La Corte di Appello avrebbe dovuto fornire una motivazione dettagliata e articolata, confrontandosi con le ragioni addotte nella sentenza impugnata, evidenziando le lacune o le incongruenze che giustificassero la riforma integrale. Inoltre, la Corte di Appello, se assolve l’imputato a causa di contraddizioni nella prova, avrebbe avuto l’obbligo di una motivazione “rafforzata”, che comprendesse un ragionamento autonomo, andando oltre una valutazione meramente numerica delle prove contrastanti, considerandone anche il peso probatorio.
Il secondo principio riguarda l’accertamento dell’abnormità del comportamento del lavoratore e delle carenze in materia di sicurezza da parte del datore di lavoro. Affinché la responsabilità del datore di lavoro possa essere esclusa, sarebbe necessario dimostrare che il datore di lavoro abbia adottato cautele specifiche volte a governare e prevenire il rischio derivante dal comportamento imprudente del lavoratore. Inoltre, il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispetto delle norme di sicurezza e di esigere dai lavoratori il rispetto delle regole di cautela. Solo un comportamento del lavoratore ritenuto eccezionale, anomalo e imprevedibile rispetto alle direttive ricevute potrebbe escludere la responsabilità del datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la decisione della Corte di Appello, a causa delle criticità nella ricostruzione dei fatti, non fosse attendibile e non avesse escluso in modo convincente l’abnormità del comportamento del lavoratore. La Corte di Appello, secondo la Corte di Cassazione, non avrebbe fatto buon governo dei principi sopra citati. Pertanto, la sentenza di appello è stata annullata, e il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte di Appello per ulteriori accertamenti e un nuovo giudizio, compresi i provvedimenti relativi alle spese processuali tra le parti, anche in relazione al giudizio di legittimità.
Fonte: Corte di Cassazione