Che impatto ha l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro?
Possiamo dire che esiste oggi una vera e propria ricca casistica su questo argomento, che delinea un orientamento che il Garante e le Corti hanno tracciato e anche modificato negli ultimi anni, adeguandolo al progresso scientifico e ad un diverso sentire sociale delle generazioni affacciatesi in un mondo del lavoro molto distante da quello del passato.
Competenze digitali e lavoro – Si sta ora procedendo verso un’automazione di funzioni più complesse, sia predeterminate con macchine automatiche e robot che possono sviluppare sequenze complesse di comandi, fino alla fase attuale in cui si progettano macchine in grado di affrontare funzioni complesse ed astratte, grazie all’intelligenza artificiale. I processi di machine learning che governano queste macchine si stanno spostando da un’intelligenza artificiale settoriale, cioè specializzata in un solo campo di azione, ad un’intelligenza artificiale generale, in cui l’applicazione a diversi campi permette processi di autoapprendimento che si giovano del trasferimento incrociato fra diversi modelli di conoscenza. I limiti nello sviluppo dei robot oggi stanno solamente nella cosiddetta intelligenza creativa e nell’intelligenza sociale, cioè l’insieme di quelle capacità relazionali, negoziali e cooperative che costituiscono esse stesse parte di una creatività che ha non solo un potenziale di originalità rispetto a soluzioni precedenti, ma anche di effectiveness, cioè di impatto trasformativo sullo stesso ambiente che le ha generate.
Il futuro del (mondo del) lavoro – Bisogna allora domandarsi quale sia il futuro del lavoro in questa società, in cui le macchine possono imparare e quindi divenire autonome. Bisogna essere ottimisti o catastrofisti, immaginando un mondo in cui, liberati dal lavoro, svolgeremo solo lavori artistici, o prevedendo società abbrutite di uomini senza lavoro, al margine di sistemi produttivi dominati dalle macchine? Ciò che osserviamo oggi è che le due visioni possono purtroppo coesistere: si sta certamente sviluppando un’ampia area di automazione, ma al margine di questa si stanno consolidando due diverse aree che sembrano allontanarsi sempre più. Da una parte troviamo un’area di lavori ad alta creatività e manualità, per gestire proprio quei sistemi di produzione che richiedono competenze più avanzate ed integrate.
Nel contempo si sta sviluppando un comparto di lavorazioni a basso valore aggiunto, con condizioni contrattuali del tutto precarie, legate ad attività ripetitive ed instabili, perché soggette a stagionalità o non prevedibili, che non giustificano investimenti in automazione né tantomeno in gestione delle risorse umane atte a valorizzarne le competenze, escluse da ogni tutela sindacale.
L’innovazione del mondo del lavoro non può prescindere oggi di passare attraverso una verifica minuziosa della tenuta dei diritti, altrimenti, tutta la retorica del “neoumanesimo” e dell’“antropocentrismo” verrebbe svuotata.
Ecco, quindi, la protezione dei dati personali: presidio a garanzia dell’identità, della personalità, dell’integrità del lavoratore nel contesto della digitalizzazione, che porta il dibattito sull’automazione alle sue estreme conseguenze. Proteggere i dati personali del lavoratore dalla manipolazione, o dalle decisioni di una macchina, che potrebbe oggi essere chiamata anche a dirigerne le mansioni e valutarne la produttività, è oggi l’irrinunciabile ed ultimo veicolo per salvaguardarne la dignità.
Cosa possiamo fare per te?
Fonte: Federprivacy