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Il tema dei rifiuti, alla luce di una sempre crescente responsabilità civile e ambientale da parte dei cittadini e delle imprese, è uno dei temi di attualità più importanti del nuovo modello di fare impresa. È inevitabile che moltissime aziende, soprattutto quelle manifatturiere, di ogni ordine e dimensione, per sviluppare la propria attività producano elementi che vengono classificati come rifiuti.

La progressiva riduzione di questi rifiuti attraverso la revisione dei processi produttivi non basta. È necessario che si sviluppi anche un contesto nel quale il rifiuto venga adeguatamente classificato, smaltito e trasformato (se possibile). Nella logica del corretto smaltimento dei rifiuti intervengono diverse figure ed entità che costituiscono la filiera dello smaltimento.

Il rifiuto necessita di una gestione più complicata per un suo corretto smaltimento, devono intervenire società specializzate che, nel pieno rispetto della normativa, permettono alle aziende di produrre in tutta tranquillità, senza rischiare che gli scarti di quella produzione vadano ad inquinare l’ambiente. Esistono anche, ed è il caso di SAEF, società che svolgono un ruolo consulenziale che permette di gestire la filiera del rifiuto secondo tutti i dettami della normativa: un’attività che viene definita come intermediazione in tema di rifiuti.

Nelle sezioni di questa guida vengono illustrate le principali caratteristiche dei rifiuti, i passaggi che concorrono alla loro creazione e gli obblighi per le aziende in tema di corretto smaltimento. Il tutto aggiornato al decreto legislativo 116/2020, emanato nel settembre del 2020, che è andato ad integrare e rivedere il cosiddetto “Codice dell’ambiente” ovvero il decreto 152/2006.

Cos’è il rifiuto e come si classifica

Sono definiti come rifiuti le sostanze o gli oggetti che derivano da attività umane o da cicli naturali, di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. I rifiuti vengono classificati secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali. Non solo: vengono anche classificati secondo le caratteristiche in rifiuti pericolosi e non pericolosi.

I rifiuti urbani

Fanno parte dei rifiuti urbani:

  • i rifiuti domestici (anche ingombranti);
  • rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
  • i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade e le aree pubbliche;
  • i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, come ad esempio giardini, parchi e aree cimiteriali.

È fondamentale sapere quale sia la composizione dei rifiuti urbani per permette di programmare meglio la gestione, quindi lo smaltimento e il riciclaggio. Una consistente presenza di frazioni combustibili con elevato potere calorifico, ad esempio, può orientare verso l’incenerimento con recupero di calore. La percentuale di inerti, invece, permette di orientare la quota di materiali da conferire, comunque in discarica.

I rifiuti speciali

Fanno parte della “famiglia” dei rifiuti speciali:

  • i rifiuti provenienti da lavorazione industriale;
  • i rifiuti che provengono da attività commerciali;
  • i rifiuti che derivano da attività di recupero e smaltimento di altri rifiuti;
  • i fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
  • i rifiuti che derivano da attività sanitarie;
  • quei macchinari e quelle apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
  • i veicoli a motore;
  • i rimorchi e simili fuori uso (e loro parti).

I rifiuti urbani pericolosi (RUP)

I rifiuti urbani pericolosi sono costituiti da tutta quella serie di rifiuti che, pur avendo un’origine civile, contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze pericolose e che quindi devono essere gestiti diversamente dal flusso dei rifiuti urbani “normali”. Tra i RUP, i principali sono i medicinali scaduti e le pile.

I rifiuti speciali pericolosi

I rifiuti speciali pericolosi sono quei rifiuti generati dalle attività produttive che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze inquinanti. Per questo motivo occorre renderli innocui, cioè trattarli in modo da ridurne drasticamente la pericolosità. Nella normativa precedente rispetto a quella in vigore attualmente, tali rifiuti erano definiti come rifiuti tossico nocivi.

In questa categoria di rifiuti rientrano:

  • quelli provenienti dalla raffinazione del petrolio;
  • provenienti dai processi chimici;
  • i rifiuti provenienti dall’industria fotografica e quella metallurgica;
  • gli oli esauriti e i solventi;
  • gli scarti della produzione conciaria e tessile;
  • gli scarti della ricerca medica e veterinaria;
  • in generale quelli provenienti dagli impianti di trattamento dei rifiuti.
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La figura del “produttore del rifiuto”

È necessario, per capire a fondo la figura del produttore di rifiuti e fin dove si estende la sua responsabilità, partire dalla necessità di dimostrare l’effettivo smaltimento dei rifiuti. Nello specifico la normativa vigente stabilisce che “nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di cui ai punti D13, D14, D15, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di identificazione abbiano ricevuto un’attestazione di avvenuto smaltimento, resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sottoscritta dal titolare dell’impianto da cui risultino: i dati dell’impianto e del titolare, le quantità dei rifiuti trattate, la tipologia di operazione di smaltimento effettuata”.

L’identificazione del “produttore di rifiuto” è stata oggetto negli anni di diverse interpretazioni e altrettanti interventi chiarificatori da parte dell’organo legislativo, allo scopo di fare chiarezza in merito. Importante il chiarimento che è intervenuto a metà del 2015 quando la definizione di “produttore di rifiuto” è stata ampliata, riveduta e corretta. Oggi per “produttore di rifiuti” intendiamo “il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile questa produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”. La nuova definizione, in effetti, risente di una necessità contingente, al momento della modifica legislativa: nell’estate 2015 il Governo italiano aveva l’esigenza di intervenire sulla materia con una certa urgenza a causa del sequestro preventivo del cantiere navale di Monfalcone.

Il riparo fu dunque dettato da un’esigenza, ma andò in ogni caso a colmare una lacuna e chiarire una volta per tutte la figura del produttore del rifiuto. Di fatto questa specifica però estende la responsabilità di “produttore” sia al produttore diretto (colui che genera il rifiuto) che a quei soggetti che sono riconducibili giuridicamente a questa produzione. Gran parte della giurisprudenza, ad esempio, ha esteso al soggetto nel cui interesse viene svolta l’attività, la responsabilità di produttore di rifiuto.

Nei contratti d’appalto questa fattispecie si ritrova in moltissime occasioni: se l’appaltatore è il produttore materiale del rifiuto, il committente è una sorta di “produttore giuridico” di tale rifiuto. Sta negli elementi di contratto stabiliti fra queste parti individuare il soggetto tenuto a svolgere tutte le pratiche in merito alla corretta gestione e al corretto smaltimento dei rifiuti. In altre situazioni la procedura di valutazione “caso per caso” si è rivelata prezioso supporto all’individuazione delle responsabilità, ma anche dei vantaggi (la trasformazione dei rifiuti “nobili” ovvero quelli che portano un tornaconto economico al produttore).

In linea generale, anche in funzione delle diverse sentenze intervenute a riguardo, il legislatore italiano considera come produttore sia il soggetto che materialmente genera il rifiuto, sia il soggetto al quale, eventualmente, quel rifiuto è riconducibile, facendo in qualche modo perdere valore alla disciplina contrattuale eventualmente intervenuta fra appaltante e committente.

In questa sede è opportuno specificare che esistono alcune categorie particolari di produttori di rifiuti. Ci riferiamo a parrucchieri, estetiste, attività di tatuaggio e piercing. I soggetti esercenti tali attività che producono rifiuti pericolosi ed i produttori di rifiuti pericolosi non rientranti in organizzazione di ente o impresa possono adempiere all’obbligo di legge con una delle seguenti modalità:

  1. Con la conservazione progressiva per tre anni del formulario di identificazione relativo al trasporto dei rifiuti.
  2. Con la conservazione per tre anni del documento di conferimento rilasciato dal soggetto che provvede alla raccolta di detti rifiuti nell’ambito del circuito organizzato di raccolta.

I tempi di conservazione del registro di carico e scarico si fissano in tre anni dalla data dell’ultima registrazione effettuata.

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La figura del trasportatore di rifiuto

Non esiste una vera e propria definizione del trasportatore di rifiuto, anche se questa figura è centrale rispetto alla filiera del rifiuto, in quando ha l’onere di seguire scrupolosamente tutte le normative in materia in una delle fasi più delicate della filiera stessa, ovvero quella della movimentazione del rifiuto, che può potenzialmente esporre a gravi rischi.

In linea generale gli enti che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti (sia pericolosi che non pericolosi), in conto terzi o in conto proprio (quindi come business diretto ma anche come componente della propria filiera di business), sono tenuti a iscriversi all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, quale condizione sine qua non per poter esercitare questa tipologia di attività. Successivamente si distinguono le due modalità di trasporto di rifiuti, se in conto proprio (quindi attività connessa direttamente ai propri processi produttivi) che in conto terzi (quindi proprio l’attività di movimentazione del rifiuto rappresenta un servizio).

Trasporto dei rifiuti conto terzi

È necessario per svolgere questa attività essere iscritti all’Albo in una specifica categoria e classe, stabilite in funzione della quantità di rifiuti trasportati e dall’attività di trasporto stessa. Per il trasporto dei rifiuti conto terzi esistono infatti ben tre categorie di iscrizione:

  • rifiuti urbani e assimilati,
  • rifiuti non pericolosi avviati al recupero,
  • rifiuti pericolosi avviati al recupero.

A queste tre categorie, corrispondono sei classi di iscrizione, definite a loro volta in funzione dei quantitativi di rifiuti trasportati. È opportuno specificare che l’iscrizione è anche connessa alla formulazione di garanzie finanziarie piuttosto elevate che possono, tuttavia, subire significativi ridimensionamenti per quelle entità che sono in possesso di registrazione ambientale EMAS o di certificazione ambientale ISO 14001.

Come le altre iscrizioni all’albo nazionale dei gestori ambientali, anche quella per il trasporto è soggetta al rinnovo ogni cinque anni (ad eccezione della categoria 2 bis, trasporto rifiuti in conto proprio, che ha una durata di 10 anni). Il trasportatore ha in ogni caso una serie di obblighi. Tralasciando in questa sede gli obblighi legati al trasporto su strada (idonei mezzi) e quelli legati al personale, la Cassazione, attraverso alcune sentenze intervenute negli anni, ha imposto al trasportatore anche l’obbligo di verificare tutta la documentazione e le autorizzazioni di tutti i soggetti coinvolti nella filiera della gestione del rifiuto prima di procedere al trasporto stesso.

Trasporto dei rifiuti in conto proprio

Anche per quanto riguarda questa specifica fattispecie è richiesta l’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali, quale elemento che conferisce il permesso di movimentare rifiuti prodotti dalla propria attività. Tali rifiuti possono essere sia considerati non pericolosi, che considerati pericolosi. Ma tale iscrizione è un’iscrizione semplificata che, per altro, non richiede neppure la fornitura di garanzie finanziarie. È infatti considerata come una parte della filiera del produttore del rifiuto (colui che lo genera o che ne ha la responsabilità) che provvede in conto proprio alla movimentazione per avviare il rifiuto alla destinazione finale. Esiste però un limite di quantità per i soli rifiuti pericolosi: in contro proprio è possibile trasportare soltanto 30 chilogrammi o 30 litri di rifiuti al giorno.

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L’impianto di smaltimento dei rifiuti

L’impianto di smaltimento dei rifiuti, anche chiamato discarica, è il luogo dove vanno a finire (proprio perché passaggio finale della filiera) i rifiuti prima generati/prodotti, poi eventualmente depositati, infine trasportati.

Le normative che disciplinano e dipingono le caratteristiche di tali impianti, nel contesto nazionale, sono sostanzialmente tre:

La prima e più importante è il decreto 152 del 2006, ovvero il Testo unico sull’ambiente che a sua volta rimanda al decreto 36 del 2003 e alla direttiva 31 del 1999 emessa dall’Unione europea. Da queste normative si evincono chiaramente alcune caratteristiche degli impianti di smaltimento dei rifiuti.

In linea generale è considerato un impianto l’operazione di deposito sul suolo o nel suolo di rifiuti in forma permanente o comunque tendenzialmente permanente, ad escludere quindi la temporaneità del deposito, disciplinata invece in altra forma. È dunque un luogo dove vengono depositati in modo definitivo i rifiuti che non è stato possibile riciclare, inviare al trattamento meccanico/biologico per ricavarne energia, oppure utilizzare come combustibile per gli inceneritori.

Per questi motivi la scelta del sito dove strutturare un impianto di smaltimento dei rifiuti è fondamentale: dovrà tenere in considerazione aspetti tecnici ed aspetti che invadono la sfera economica e sociale (si pensi all’ubicazione in prossimità di luoghi ad alta residenzialità). Il fondo dell’impianto non dovrà essere permeabile e dovrà essere dotato di tutti quei sistemi che consentono di stoccare il rifiuto pur non inquinando il terreno sottostante. Il tutto per impedire al percolato (secondo il decreto 36 del 2003 il “liquido che si origina prevalentemente dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi”) di mettere a rischio l’ecosistema ambientale e la salute pubblica.

Ma anche il tema dei gas è centrale nel caso della strutturazione di un impianto di smaltimento rifiuti: le moderne tecnologie consentono di veicolare i gas prodotti dai rifiuti in modo da poterli riutilizzare quale combustibile per la produzione di energia. Gli impianti sono divisi in tre tipologie: impianti per rifiuti inerti, impianti per rifiuti non pericolosi, impianti per rifiuti pericolosi. Non è scontato affermare che nei siti di smaltimento, le tipologie di rifiuto non possono essere unite o mescolate.

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Il deposito temporaneo dei rifiuti

A decorrere dal 26 settembre 2020 sono in vigore alcune novità che riguardano il deposito temporaneo dei rifiuti. Ovvero:

  1. Il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento è effettuato come deposito temporaneo, prima della raccolta, nel rispetto delle seguenti condizioni:
    1. nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci;
    2. esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
    3. per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti.
  2. Il deposito temporaneo prima della raccolta è effettuato alle seguenti condizioni:
    1. i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
    2. i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
    3. i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
    4. nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose.

Appare opportuno, proprio perché rappresenta un elemento di frequente, dubbia interpretazione, chiarire cosa si intende per deposito temporaneo dei rifiuti. Volendo dare una definizione veritiera ma un poco sommaria, definiremmo come deposito temporaneo un raggruppamento di rifiuti che trova ubicazione nel luogo in cui i rifiuti sono stati prodotti e che anticipa il loro smaltimento. Per questo motivo ha carattere di temporaneità.

Importante da subito sottolineare che il deposito temporaneo prevede che il rifiuto sia di una categoria omogenea e che sia stoccato in uno stesso contenitore, senza essere miscelato o mescolato con altri rifiuti “differenti”.

A definire la temporaneità è il limite temporale, secondo il quale tale deposito non può superare l’anno solare prima dell’avvio delle attività di smaltimento. Ma a caratterizzare il deposito temporaneo concorrono anche le quantità dei rifiuti accantonati, che possono raggiungere un massimo di 30 metri cubi per i rifiuti non pericolosi e un massimo di 10 metri cubi per i rifiuti pericolosi.

Le attività di deposito temporaneo non sono esenti, anzi, dallo scrupoloso rispetto in materia di normativa di riferimento, come anche evinto in precedenza: da quelle relative all’imballaggio, all’etichettatura delle sostanze considerate pericolose eventualmente contenute nel rifiuto stesso, oppure riguardanti le modalità richieste per la conservazione del rifiuto senza rischiare impatto per ambiente e salute pubblica, come ad esempio l’utilizzo di particolari recipienti, di materiale assorbente, di materiale che non permetta lo spandimento delle sostanze, di copertura del rifiuto depositato. Il rispetto di questi obblighi permette al deposito temporaneo di essere considerato tale e di non essere confuso con fattispecie disciplinate in altri modi come lo stoccaggio, l’operazione di recupero, l’operazione di smaltimento, il deposito preliminare allo smaltimento. Per le attività appena citate è prevista, fatte salve le eccezioni di cui in precedenza, un’autorizzazione apposita. Fondamentale è la chiarezza estrema della fattispecie: il rischio sarebbe, infatti, di fronte a una situazione di incertezza quello di rientrare nella gestione dei rifiuti senza rispettarne le regole e non nel semplice deposito temporaneo. In questo caso diventa fondamentale, al fine di evitare pesanti sanzioni e altrettanto pesanti problematiche, il rispetto scrupoloso dei limiti di quantità e dei limiti temporali.

Le due possibilità che si aprono al produttore quando sceglie il deposito temporaneo sono o l’avvio del recupero/smaltimento di una generica quantità di rifiuti non pericolosi entro tre mesi dall’inizio del deposito, oppure avviarli a smaltimento entro i 12 mesi ma con il massimo di quantità di 30 metri cubi, dei quali soltanto 10 metri cubi considerati pericolosi. Il luogo del deposito temporaneo di rifiuti deve essere necessariamente interdetto all’accesso di estranei e qualora in quello specifico sito lavorino più imprese che hanno l’esigenza di depositare rifiuti, non potrà verificarsi una situazione di deposito cumulativo, ma diverse situazioni di deposito soggettivo.

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Il responsabile tecnico della gestione rifiuti

Si può definire come responsabile tecnico della gestione dei rifiuti quel soggetto che si assume le responsabilità di natura tecnica (oltre che gestionale e progettuale ) al fine di garantire il rispetto scrupoloso delle norme ambientali e sanitarie (compliance ambientale) in termini di qualità dell’azione e di tenuta degli eventuali beni strumentali utilizzati nelle varie azioni (cura affinché tali beni siano sempre conformi all’uso per il quale sono predisposti e a loro volta siano adeguati alle normative). Il responsabile tecnico è una figura necessaria ai fini dell’iscrizione nelle categorie 1,4,5,6,8,9 e 10 presso l’Albo gestori ambientali.

Trattandosi di una figura strategica all’interno della filiera, il responsabile tecnico della gestione dei rifiuti, per poter svolgere una tanto delicata funzione, deve essere obbligatoriamente in possesso di alcuni requisiti quali un titolo di studio idoneo, una verificabile esperienza maturata negli ambiti di applicazione della funzione e un’idoneità attestata mediante verifiche volte a garantire il necessario aggiornamento.

La formazione del Resp. Tecnico deve quindi essere attestata tramite una verifica iniziale della preparazione del soggetto e con cadenza quinquennale tramite verifiche volte a garantire il necessario aggiornamento.

L’esperienza richiesta al responsabile tecnico per la gestione dei rifiuti può variare da quella acquisita come titolare di un’impresa che opera nello stesso settore di attività, come responsabile tecnico o direttore tecnico (già responsabile tecnico o già direttore tecnico) dell’attività stessa, oppure come dirigente tecnico a cui sono affidate precise responsabilità in merito allo specifico settore di attività. Il responsabile tecnico della gestione dei rifiuti è quindi una figura chiave all’interno della filiera.

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L’albo dei gestori ambientali

L’albo dei Gestori Ambientali è quell’organismo che è tenuto a riconoscere il possesso di particolari requisiti tecnici, morali e di capacità finanziaria a quei soggetti che si candidano per svolgere attività connesse al trasporto dei rifiuti, alla bonifica dei siti inquinati, al commercio e all’attività di intermediazione dei rifiuti senza detenzione.

L’albo si articola in un Comitato nazionale, che ha sede al Ministero dell’ambiente e si sviluppa poi in sezioni regionali, che sono tenute nelle camere di commercio dei capoluoghi delle varie Regioni. L’albo rappresenta il principale elemento di garanzia del settore dei rifiuti, ma anche un elemento di trasparenza al quale fanno riferimento le aziende impegnate nella filiera dei rifiuti, i singoli cittadini e gli organismi della pubblica amministrazione locale. Molto importante anche il funzionamento: l’albo viene costantemente aggiornato (in tempo reale) e vi si può accedere liberamente attraverso il sito web di riferimento.

Per le imprese iscritte all’albo esiste anche un’area riservata sul sito, grazie alla quale le imprese stesse possono verificare attraverso un cruscotto digitale la loro posizione e svolgere alcune attività connesse all’albo.

La normativa si è evoluta nel nostro Paese negli ultimi anni. L’istituzione ufficiale dell’albo risale al 2006 (con il decreto 152), ma un albo dei gestori dei rifiuti era già presente nel nostro sistema legislativo dal 1997 (decreto legislativo 22). Sono tenute ad iscriversi all’albo tutte quelle attività che partecipano alla filiera dei rifiuti, in particolare:

  • Enti che si occupano di trasporto dei rifiuti pericolosi
  • Enti che si occupano di commercio ed intermediazione rifiuti senza detenzione
  • Enti che si occupano della bonifica dei siti contaminati e della bonifica di beni che contengono amianto

Per potersi iscrivere all’Albo nazionale dei gestori ambientali devono sussistere alcune condizioni in capo ai Soggetti che rappresentano l’impresa, in particolare:

  • Il titolare/legale rappresentante dell’impresa deve essere cittadino italiano/di uno stato membro UE oppure, di uno stato non UE ma residente in Italia, purché lo stato di provenienza riconosca un diritto analogo ai cittadini italiani.
  • Il titolare/legale rappresentante dell’impresa non deve essere interdetto o inabilitato dagli uffici direttivi di persone giuridiche o imprese.
  • Il titolare/legale rappresentante dell’impresa non sia stato condannato in passato (condanna passata in giudicato).
  • Il titolare/legale rappresentante dell’impresa non sia soggetto a cause di divieto, di decadenza o di sospensione (art. 67 D. Lgs. 159/2011).
  • Il titolare/legale rappresentante dell’impresa non deve avere reso false dichiarazioni o compiuto falsificazioni per quanto attiene le informazioni richieste per l’iscrizione stessa.

Altresì sono richiesti alcuni requisiti in capo non alla persona fisica che rappresenta l’impresa, ma all’impresa stessa in quanto persona giuridica, in particolare:

  • Iscrizione obbligatoria al registro delle imprese o al REA
  • Essere, al momento della prima iscrizione, in uno stato diverso rispetto a fallimento, liquidazione, procedura concorsuale.
  • Avere adempiuto ed essere in regola con gli obblighi contributivi e assistenziali. Possedere i requisiti di idoneità tecnica e capacità finanziaria oltre che avere nominato un responsabile tecnico in possesso dei requisiti stabiliti dal comitato nazionale (Soltanto per le categorie 1/4/5/6/8/9/10).

L’iscrizione all’albo avviene esclusivamente per via telematica, seguendo una specifica procedura. Qualsiasi variazione possa intervenire successivamente, va comunicata entro 30 giorni alla sezione regionale dalla quale è tenuto l’albo.

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I documenti obbligatori

Il formulario di identificazione / documento di trasporto

È uno dei documenti chiave della filiera del rifiuto. Conosciuto anche con la sigla FIR, il formulario di identificazione dei rifiuti è un documento formale ideato al fine di garantire la tracciabilità del flusso dei rifiuti nelle fasi del trasporto: dalla fase di produzione (quindi dal produttore o dal detentore del rifiuto) fino alla fase di destinazione finale.

Si tratta di un obbligo normativo, disciplinato dall’articolo 193 del D. Lgs 152/2006, che sussiste durante il trasporto dei rifiuti. Fa parte di quella rosa di documenti, tre in totale, che prima il decreto Ronchi (1997) poi il già citato 152 del 2006 hanno inserito come obblighi formali nella filiera dei rifiuti (insieme al formulario di identificazione, ci sono il Modello unico di dichiarazione ambientale e il registro di carico e scarico.

In questo documento è necessario che ci siano alcuni dati fondamentali, partendo dai dati che identificano con precisione il produttore del rifiuto (per la cui individuazione si richiama l’illustrazione ai capitoli precedenti) e il detentore, anche nel caso in cui queste due figure coincidano. Ma la rosa dei dati obbligatori non si limita a questo: devono essere inseriti anche i dati che identificano il trasportatore, di quale origine e tipologia è il rifiuto, la quantità di rifiuti trasportata, le modalità con le quali quello specifico rifiuto viene trasportato, indicando, fra l’altro la data esatta del trasporto e il percorso. Infine vanno inseriti i dati che identificano il destinatario e la tipologia specifica dell’impianto verso il quale i rifiuti sono indirizzati.

Per avere efficacia legale il formulario deve essere redatto in quattro copie, datato e firmato sia dal produttore che dal trasportatore. La doppia firma in oggetto vale come prova della corretta ricezione del rifiuto. La prima copia viene trattenuta dal produttore, una viene acquisita dal destinatario (sulla quale va inserita la data di avvenuta consegna) e due dal trasportatore (una delle quali, datata alla consegna, viene rispedita al produttore, entro tre mesi dall’avvenute consegna del rifiuto). Tutte devono essere conservate per un lasso di tempo di almeno 3 anni solari. La quarta copia del formulario può essere trasmessa al produttore a mezzo PEC, purché il trasportatore assicuri la conservazione del documento originale ovvero provveda successivamente all’invio dello stesso al produttore.

Un obbligo aggiuntivo: ogni formulario deve essere vidimato da un ente competente (agenzia delle entrate, Camera di commercio oppure ente regionale e provinciale competenti in materia di rifiuti). La vidimazione è un passaggio obbligatorio, ma gratuito.

La mancata correttezza rispetto alla tenuta del formulario, prevede pene pecuniarie molto elevate: si va dai 1.600 euro ai 10.000 euro per la sua assenza o per incompletezza dei dati contenuti, alla sanzione pecuniaria si aggiunge la sfera penale per i rifiuti considerati pericolosi. La sanzione pecuniaria diminuisce (da 260 a 2.550 euro) qualora l’incompletezza dei dati risultasse soltanto dal formulario e tali dati siano invece corretti nel MUD e nei registri di carico e scarico. Quest’ultima sanzione ridotta si applica anche nel caso in cui il formulario non venga conservato nelle modalità descritte in precedenza.

Il registro di carico e scarico

È il secondo documento obbligatorio presente nella filiera del rifiuto. In sintesi, questo documento è necessario perché evidenzia ogni carico e scarico del rifiuto. Per questo motivo tale documento deve essere presente in ogni impianto (che sia di produzione, di stoccaggio, di recupero o smaltimento dei rifiuti). Non solo: deve essere presente anche nella sede di società che si occupano di raccolta e trasporto e nella sede di chi commercia i rifiuti e chi svolge l’attività di intermediazione (tale attività viene illustrata in dettaglio nelle sezioni seguenti). Ecco il dettaglio di chi è tenuto al registro di carico e scarico:

  • Gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali (pericolosi e non pericolosi)
  • Gli enti che “detengono” i rifiuti (enti di raccolta, trasporto, trattamento, recupero e smaltimento)
  • Gli enti che commerciano il rifiuto
  • Gli enti intermediari del rifiuto

I registri di carico e scarico devono essere vidimati dalla Camera di commercio competente e numerati. Le procedure per la numerazione sono quelle fissate anche per la normativa sui registri IVA. Il formato del registro deve essere A4. Dall’obbligo di tenuta del registro sono esclusi:

  • Gli enti che ne sarebbero tenuti, ma che aderiscono volontariamente al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti.
  • Le aziende produttrici di rifiuti speciali non pericolosi, che gestiscono pe conto proprio le attività di raccolta e trasporto.
  • Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi (cat. 2bis dell’Albo Gestori Ambientali.
  • Per i soli rifiuti non pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che non hanno più di 10 dipendenti (non è ancora perfettamente chiara la definizione di “dipendenti”, dato che in tali casi si parla solitamente di “addetti” dell’azienda, ricomprendendo anche i titolari/soci lavoratori, coadiuvanti).

Modalità diverse rispetto a quelle enunciate in precedenza, ricadono sugli imprenditori agricoli, che possono ottemperare a questo obbligo attraverso la conservazione per un periodo di tre anni del formulario di identificazione o del documento che attesta l’avvenuta raccolta (rilasciato dal soggetto abilitato alla raccolta) dei rifiuti pericolosi prodotti dall’attività agricola.
Come detto, nel registro di carico e scarico ci devono essere tutte le informazioni che caratterizzano, in termini di qualità e quantità, il rifiuto. Tali informazioni ricadono nella sfera di responsabilità di:

  • Enti produttori iniziali (entro 10 giorni lavorativi dalla produzione o dallo scarico)
  • Enti che svolgono attività di “preparazione” del rifiuto in funzione del riutilizzo (entro 10 giorni dalla presa in carico)
  • Enti che effettuano la raccolta e il trasporto (entro 10 giorni lavorativi dalla data di consegna dei rifiuti all’impianto di destino)
  • Enti che trattano il rifiuto, ovvero operazioni di recupero e smaltimento (entro 2 giorni dalla conclusione del trattamento)
  • Enti intermediari e commercianti (entro i due giorni precedenti all’avvio dell’azione e entro 10 giorni dalla sua conclusione)

Di norma i registri di carico e scarico devono essere conservati presso l’impianto di produzione o, in casi speciali, nel sito di produzione integrandoli con i formulari di identificazione. Ivi vanno conservati per un periodo di tempo non inferiore ai 5 anni solari (fa fede la data dell’ultima registrazione in ordine di tempo). È data possibilità a coloro che (produttori iniziali di rifiuti speciali non pericolosi) non eccedono la produzione di 10 tonnellate anno di rifiuti, di adempiere a questo obbligo tramite associazioni imprenditoriali o società di diretta emanazione delle stesse, le quali annotano i dati a cadenza mensile e li conservano nella sede dell’ente/attività. In ogni caso le informazioni devono essere rese disponibili a qualunque richiesta dell’autorità di controllo.

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Presto un Registro elettronico nazionale

La nuova normativa, intervenuta nel settembre 2020, disciplina il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti che si compone delle procedure e degli strumenti di tracciabilità integrati nel “Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti”, istituito ai sensi dell’art. 6 del D.L. 135/18.
Le modalità di organizzazione, di funzionamento, di iscrizione da parte dei soggetti obbligati, o di coloro che vi aderiranno in forma volontaria, la compilazione, la vidimazione e la tenuta in formato digitale dei registri di carico e scarico rifiuti e dei formulari di identificazione dei rifiuti sono stati demandati a successivi decreti ministeriali. Fino all’entrata in vigore del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, per i soggetti obbligati le modalità di compilazione, vidimazione, tenuta dei registri di carico e scarico e dei formulari di identificazione dei rifiuti sono quelle attualmente in vigore.

Il MUD

Terzo documento obbligatorio della filiera del rifiuto è il MUD, ovvero il modello unico per la dichiarazione ambientale. Il modello unico di dichiarazione ambientale è un documento istituito dalla legge 70 del 1994 ed è uno strumento (obbligatorio) attraverso il quale denunciare i rifiuti prodotti dalle attività economiche, quelli raccolti da ogni singolo comune, quelli smaltiti o avviati al recupero, quelli trasportati. Il tutto riferendosi all’anno precedente a quello di presentazione e compilazione della dichiarazione.

Vi sono alcuni obblighi legati a questa comunicazione. In particolare: la denuncia della quantità e della qualità dei rifiuti al catasto rifiuti e le informazioni che riguardano tipologie di rifiuti prodotti, recuperati, trasportati o smaltiti nell’anno precedente. La dichiarazione si applica ai rifiuti speciali, ai veicoli fuori uso, agli imballaggi, ai rifiuti di apparecchiature elettriche e elettroniche (anche per i produttori) e ai rifiuti urbani.
L’obbligo di compilazione e produzione del MUD ricade nello specifico su:

  • L’ente produttore iniziale del rifiuto
  • Soggetti che recuperano e smaltiscono i rifiuti
  • Soggetti che svolgono la propria attività nell’ambito della raccolta e del trasporto dei rifiuti
  • Soggetti che commerciano i rifiuti
  • Soggetti che svolgono attività di intermediazione del rifiuto
  • Soggetti che trattano rifiuti quali i veicoli fuori uso
  • Soggetti che operano nella filiera dei rifiuti provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche
  • Soggetti (anche istituzionali) coinvolti nel servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani
  • Soggetti che producono apparecchiature elettriche ed elettroniche

Dall’obbligo di presentazione del MUD, in funzione della legge 221 del 2015 e successive integrazioni, sono esclusi le imprese agricole e i soggetti con Codice Ateco 96.02.01 – 96.02.02 – 96.09.02. Per questi soggetti l’obbligo può essere ottemperato tramite la compilazione e la conservazione dei formulari di trasporto, in ordine cronologico. La data di presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale, è di norma il 30 aprile di ogni anno (e si riferisce all’anno precedente), salvo non intervengano modifiche al modello. In questo caso è lasciato un lasso di tempo aggiuntivo di 120 giorni a decorrere dalla pubblicazione di modifica del modello stesso.

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Le sanzioni in caso di violazione

Trattandosi di una funzione molto particolare e di una materia molto delicata, il legislatore ha previsto sanzioni molto severe nei confronti di quegli enti che violano la legge in materia di gestione dei rifiuti. In particolare, la normativa emessa nel corso del2020 (il D. lgs 116) ha esplicitato le fattispecie di violazione e le relative sanzioni. Eccole in sequenza:

Mancata comunicazione al catasto dei rifiuti o effettuata in modo incompleto o inesatto

I soggetti di cui all’articolo 189, comma 3, che non effettuano la comunicazione ivi prescritta ovvero la effettuano in modo incompleto o inesatto sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2 mila a 10 mila euro; se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 26 euro a 160 euro.

Mancata tenuta del registro di carico e scarico o Registro tenuto in modo incompleto o inesatto

Chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all’articolo 190, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2 mila a 10 mila euro. Se il registro è relativo a rifiuti pericolosi si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila euro a 30 mila euro, nonché nei casi più’ gravi, la sanzione amministrativa accessoria facoltativa della sospensione da un mese a un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile dell’infrazione e dalla carica di amministratore.

Nel caso di imprese che occupino un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti, le sanzioni sono quantificate nelle misure minime e massime da 1040 euro a 6200 euro per i rifiuti non pericolosi e da 2070 euro a 12.400 euro per i rifiuti pericolosi. Il numero di unità lavorative è calcolato con riferimento al numero di dipendenti occupati mediamente a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue; predetti fini l’anno da prendere in considerazione è quello dell’ultimo esercizio contabile approvato, precedente il momento di accertamento dell’infrazione.

Trasporto senza formulario o con formulario con dati incompleti o inesatti

Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 o senza i documenti sostitutivi ivi previsti, ovvero riporta nel formulario stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1600 euro a 10 mila euro. Si applica la pena dell’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi.

Tale ultima pena si applica anche a chi nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 4, ove le informazioni, pur formalmente incomplete o inesatte, siano rinvenibili in forma corretta dai dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri cronologici di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 260 euro a 1550 euro.

La stessa pena si applica nei casi di indicazioni formalmente incomplete o inesatte, ma contenenti gli elementi atti a ricostruire le informazioni richieste ai sensi di legge, nonché nei casi di mancato invio alle autorità competenti e di mancata conservazione dei registri di cui all’articolo 190, comma 1, o del formulario di cui all’articolo 193. La sanzione ridotta di cui alla presente disposizione si applica alla omessa o incompleta tenuta dei registri cronologici di carico e scarico da parte del produttore quando siano presenti i formulari di trasporto, a condizione che la data di produzione e presa in carico dei rifiuti possa essere dimostrata, o coincida con la data di scarico dei rifiuti stessi.

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L’attività di intermediazione dei rifiuti

L’attività di intermediazione dei rifiuti è disciplinata dall’articolo 183 del decreto legislativo 152 del 2006 e definisce la figura dell’intermediario come “qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti”.

In estrema sintesi il ruolo dell’intermediario è quindi un ruolo di congiunzione fra i vari passaggi (ai quali corrispondono vari attori) impegnati in quella che si può definire come la filiera del rifiuto. In particolare, l’intermediazione si concentra sul rapporto fra il produttore e il destinatario, va quindi a fornire servizi in merito a tutto il percorso intermedio fra la produzione/genesi del rifiuto e la destinazione finale dello stesso. Le modalità con le quali questa attività avviene partono dalla consulenza verso il produttore in merito alla migliore collocazione possibile del rifiuto, una consulenza che contempla il tema economico, ma anche il tema qualitativo del servizio e quello relativo alla compliance, ovvero al rigoroso rispetto della normativa in materia di rifiuti in ogni passaggio della filiera. Proprio per questo motivo alla base del rapporto di intermediazione ci deve necessariamente essere un profondo e spiccato rapporto di fiducia.

Le caratteristiche del buon intermediario partono quindi da un rapporto che lo pone in un punto di forza e di distanza dai soggetti che intervengono nella filiera del rifiuto, quel giusto distacco che permette all’intermediario di intervenire all’occorrenza e che assicura le migliori condizioni possibili.

Altra caratteristica riguarda l’economicità dell’operazione: ci si rivolge ad un intermediario, sostenendone il valore dell’onorario, perché questa scelta garantisce una consulenza specializzata, ma anche un risparmio economico notevole sui vari passaggi, che risulterebbero molto più onerosi se gestiti direttamente dal produttore del rifiuto.

Un altro aspetto è la possibilità che l’intermediario possa detenere o meno i rifiuti. In realtà la mediazione avrebbe soltanto il ruolo di “mettere in contatto” le parti dei vari passaggi assicurando qualità e economicità del servizio, ma nella materia in oggetto la mediazione può essere ampliata anche alla raccolta, al trasporto, al recupero e allo smaltimento del rifiuto. L’intermediario dei rifiuti, come anche il commerciante dei rifiuti, è soggetto ad autorizzazione per svolgere questa funzione. Tale autorizzazione prevede come passaggio principale l’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali. L’articolo 212 del già citato decreto legislativo recita, infatti: “L’iscrizione all’Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi. Sono esonerati dall’obbligo di cui al presente comma le organizzazioni di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a) e c), 223, 224, 228, 233, 234, 235 e 236, al decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, e al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, limitatamente all’attività di intermediazione e commercio senza detenzione di rifiuti oggetto previste nei citati articoli. Per le aziende speciali, i consorzi di comuni e le società di gestione dei servizi pubblici di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’iscrizione all’Albo è effettuata con apposita comunicazione del comune o del consorzio di comuni alla sezione regionale territorialmente competente ed è valida per i servizi di gestione dei rifiuti urbani prodotti nei medesimi comuni…”.

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Normativa Gestione Rifiuti: conclusione e approfondimenti

In questa guida sono elencati i passaggi e alcune delle informazioni (le principali) che riguardano la gestione del rifiuto e l’attività di smaltimento dello stesso. La normativa in materia (non soltanto nazionale ma anche comunitaria) è in costante e continua evoluzione, per cui periodicamente intervengono modificazioni e integrazioni. Per approfondire ulteriormente la tematica si individuano come fonti attendibili le seguenti:

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