Attivare investimenti “verdi” per mille miliardi di euro in dieci anni, partendo da un pacchetto di risorse di 7,5 miliardi ma puntando anche sulla quota del budget comunitario destinata all’ambiente. Comincia dalle cifre la scommessa tra la realtà e le ambizioni del Green deal europeo, il piano della Commissione Ue per l’ambiente. Questa politica avrà successo se riuscirà ad attivare non solo i policy makers nazionali e locali, ma anche il settore privato, il che significa interi settori produttivi.
L’ equilibro tra pubblico e privato sarà tanto più sarà efficace quanto più sarà solido.
I 7,5 miliardi per il Just transition fund ricavati dal bilancio pluriennale della Ue (MFF) sotto il cappello della politica di Coesione, sono dunque l’innesco di un processo che ha obiettivi ben più ampi. Andranno divisi tra i 27 Stati membri in un orizzonte di sette anni (2021-2027).
In concreto, il piano avrà successo se la spinta del Green deal sarà raccolta e accompagnata dagli Stati membri e dai privati, con l’effetto moltiplicatore dei cofinanziamenti e degli investimenti aggiuntivi.
Parliamo delle imprese, ma anche dei professionisti che saranno coinvolti in questa operazione. Mobilità, edilizia e produzione manifatturiera sono i tre fronti in cui sarà concentrata la domanda di competenze e professionalità in grado non solo di valutare l’impatto ambientale della progettazione, dei processi produttivi, dei materiali e dell’organizzazione del lavoro, ma soprattutto di impostare le azioni per il cambiamento.
La proposta della Commissione prevede che per ogni euro del Fondo per la transizione equa (JTF), gli Stati membri ne aggiungano almeno 1,5 (e fino a un massimo di 3) prelevati dalla dote nazionale dei fondi strutturali (Fondo sociale europeo e Fondo europeo di sviluppo regionale).
Nella programmazione 2021-2027 le regioni dovranno dunque tenerne conto.
Con le risorse europee potranno essere finanziati investimenti produttivi in Pmi e start up, di diversificazione e riconversione; nuove imprese, compresi incubatori e servizi di consulenza; ricerca e innovazione e trasferimento di tecnologie avanzate; diffusione di tecnologie per energia pulita a prezzi accessibili, riduzione di gas serra, efficienza energetica e rinnovabili; digitale; bonifica e riutilizzo di siti; economia circolare; riqualificazione dei lavoratori e ricollocamento dei lavoratori che la transizione trasformerà in disoccupati. Proprio questo è uno dei punti qualificanti del piano: mitigare l’impatto sociale delle transizioni è uno dei principali obiettivi di Bruxelles.
Nel meccanismo di aiuto rientreranno anche i settori che oggi utilizzano gli ETS (Emission trading scheme), così come sarà possibile finanziare la transizione di grandi imprese. Prevista una deroga alle regole Ue sugli aiuti di Stato. Sono esclusi dal finanziamento lo smantellamento o la costruzione di centrali nucleari, la produzione e la lavorazione del tabacco; reti di banda larga nelle aree in cui esistono già almeno due operatori; imprese in difficoltà e tutto ciò che ha a che fare con i combustibili fossili.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)