La sezione Capitale Umano di Confindustria ha di recente avanzato l’idea (un po’ provocatoria, se vogliamo) di rinominare gli Istituti tecnici “Licei tecnici” per dare il giusto riconoscimento alla loro qualità e per renderli attrattivi per le famiglie. Essi infatti vengono tuttora considerati “di serie B” rispetto ai più blasonati licei.
Ma proprio nel non aver dato una giusta attenzione e rispetto alle scuole tecniche sta un fattore della debolezza dell’economia e della fragilità sociale del nostro Paese.
I dati sulla dispersione scolastica vedono l’Italia lontana dalla media europea e denunciano il consolidarsi di una forte divaricazione fra il nord e il sud del Paese. Se la media europea dei ragazzi che non concludono il proprio percorso scolastico si attesta poco sopra il 10%, la media italiana si attesta ben oltre il 15%, crescendo progressivamente verso sud e raggiungendo nelle isole quasi il 25%.
Inoltre, il Programma di valutazione delle competenze degli studenti, proposto dall’Ocse (Programme for international student assessment), vede l’Italia largamente sotto la media dei Paesi industrializzati: gli indici peggiorano andando verso sud, ma scendono anche passando dai licei agli istituti professionali.
Occorre rivedere la netta divisione dell’orizzonte scolastico fra licei e istituti tecnico-professionali; in questi ultimi l’offerta didattica è frammentata in una varietà di indirizzi in cui hanno perso identità i tre profili tecnici – ragioniere, geometra e perito – che avevano costituito i pilastri della crescita industriale dal dopoguerra in poi, fondata largamente sul contributo di questi quadri intermedi.
Il rafforzamento degli istituti tecnici passa attraverso la costruzione di una visione complessiva dell’intera area tecnico-professionale, che comprenda in modo organico anche la formazione professionale, gli Its e l’intera gamma di strumenti di accompagnamento scuola-sistema produttivo.
In questi giorni, in cui si stanno rinegoziando e riprogrammando i fondi strutturali europei, il rilancio dell’azione di governo deve fondarsi sul disegno di una politica nazionale per la scuola basata sul triangolo educazione-crescita-eguaglianza, che ha il suo perno nell’educazione tecnico-professionale. Sarebbe la via maestra per uscire dalla palude di una crisi che evidentemente non è più confinata alla sola economia, ma che intacca i settori vitali del nostro Paese.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)