La distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti “non sembra non avere fondamento giuridico” avendo la norma “distinto due diverse categorie di crediti indebitamente compensati”. Pertanto, la sesta sezione della Corte di cassazione, con l’ordinanza interlocutoria 29717/2020, ha rimesso la soluzione della vicenda contenziosa all’esame della sezione tributaria.
La sezione medesima, con l’ordinanza 24093/2020, aveva al contrario affermato che la distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti appariva “priva di fondamento logico-giuridico”. Di conseguenza, in tutti i casi in cui si riscontrava l’utilizzo in compensazione di un credito d’imposta che difettava di uno o più degli elementi costitutivi, occorreva applicare – secondo la Cassazione – sempre e comunque l’articolo 27 del D.L. 185/2008, che prevedeva la sanzione edittale dal 100% al 200% e il maggior termine decadenziale del 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.
Va rilevato che la suddetta ordinanza 24093/2020 si era formata in vigenza della legislazione precedente l’entrata in vigore della revisione dell’articolo 13 del D.Lgs 471/1997, avvenuta a decorrere dal 1° gennaio 2016. Per effetto dell’attuale comma 5 del suddetto articolo 13, la nozione di credito inesistente (con sanzione dal 100 al 200 per cento) richiede la necessaria compresenza di due condizioni: a) la mancanza in tutto o in parte del presupposto costitutivo del credito e b) la non riscontrabilità di tale irregolarità in sede di controlli automatizzati. Ne consegue che in tutti i casi in cui la violazione risulta suscettibile di essere riscontrata dalla mera visione della documentazione esibita dal contribuente in sede di invito rivolto ai sensi dell’articolo 36 ter del D.P.R. 600/1973, la sanzione irrogabile sarà quella del 30% e i termini di decadenza saranno quelli ordinari. Ciò, a prescindere dal fatto che in concreto la contestazione sia avvenuta in tale sede oppure in occasione di un accertamento vero e proprio. Per poter ravvisare il credito inesistente occorre dunque una attività frodatoria del contribuente che si sia risolta, ad esempio, nella falsificazione dei documenti di supporto.
A ben vedere, anche il contribuente che paradossalmente si “inventa” un credito d’imposta che indica in dichiarazione, pur nella totale mancanza di documentazione di supporto, realizza un comportamento oggettivamente non connotato da grave pericolosità fiscale, se e in quanto suscettibile di essere facilmente rivelato in sede di controllo formale ex articolo 36-ter del D.P.R. 600/1973; in questo caso non potrà che essere irrogata la penalità del 30 per cento del credito utilizzato. Le medesime considerazioni non valgono, invece, con riferimento al contribuente che, ad esempio, simula il sostenimento di spese per ricerca e sviluppo, avvalendosi di documentazione falsa, ancorché il credito sia stato indicato in dichiarazione. Questo perché tale indagine risulta oggettivamente estranea all’ambito di operatività dell’attività relativa ai controlli formali di cui all’articolo 36-ter.
L’ordinanza 29717/2020 della Suprema Corte riconosce finalmente, dunque, la rilevanza della modifica del 2016, così rimettendo in discussione i precedenti in termini.
Gli ultimi documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate tendono all’applicazione indiscriminata della fattispecie dei crediti inesistenti, anche laddove si è certamente di fronte a violazioni astrattamente riconducibili ai controlli formali (ad esempio, la circolare n. 31/E del 2020). Anche nella risoluzione n. 82/E/2020, nell’esemplificare alcune ipotesi di ravvedimento operoso, le Entrate qualificano “in via automatica” come inesistente un credito indebitamente compensato, senza porsi il problema della differenziazione rispetto ai crediti non spettanti.
Non resta che attendere che la sezione tributaria della Cassazione risolva correttamente il problema.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)