Nel 2021, complice l’emergenza pandemica, 7,2 milioni di lavoratori hanno lavorato da remoto, quasi un terzo della forza lavoro. In previsione del ritorno alla “normalità” il 46% dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modalità agile almeno un giorno a settimana e quasi 1 su 4 per tre o più giorni a settimana.
Sono numeri contenuti nell’indagine realizzata dall’Inapp su un campione di oltre 45mila interviste condotte tra marzo e luglio, che confermano come, lo scorso anno, sia continuato un ampio ricorso al lavoro agile, in forma ”ibrida” ovvero in presenza e da remoto, che ha coinvolto il 32,7% degli occupati; il 39,7% dei lavoratori della Pa e il 30,8 tra i privati. Il fenomeno è esploso nella fase acuta della pandemia, coinvolgendo quasi 9 milioni di lavoratori, rispetto ai 2,4 milioni (pari all’11%) che lavoravano parzialmente da remoto prima dell’epidemia da Covid 19.
Nel 2021 quasi metà dei lavoratori era impegnato in modalità agile da 3 a 5 giorni a settimana, l’11,6% per un solo giorno. Solo per il 16,5% è stato frutto di un accordo collettivo, per il 14,3% di un accordo individuale; per quasi il 37% dei lavoratori da remoto non c’è stata alcuna formalizzazione, come previsto dalla legislazione emergenziale che consente il ricorso allo smart working su decisione unilaterale dell’azienda.
Per agevolare il lavoro da remoto sono state attivate soprattutto piattaforme digitali per lo svolgimento delle riunioni a distanza nel pubblico (71,5%) e nel privato (64,4%); ha fornito dispositivi informatici ai lavoratori il 62,1% delle aziende private e il 41,9% della Pa. L’attivazione di protocolli di sicurezza informatica ha interessato oltre il 56% dei datori di lavoro. Nel privato si è investito in formazione (46,8%), fornendo attrezzature ergonomiche (25,7%) ed erogando un contributo ai dipendenti (22,2%). Rispetto ad una delle criticità, il rischio di connessione continua, nel privato il 65% dei lavoratori dichiara di poter scegliere in modo autonomo quando disconnettersi contro il 50,1% del pubblico. La connessione any-time riguarda nel complesso il 32,8% dei lavoratori, ma nel pubblico la quota scende al 26,9% e nel privato sale al 34,5%. Oltre il 49% dichiara di potersi disconnettere solo per la pausa pranzo.
Prevale la quota di lavoratori che esprime un giudizio positivo sull’esperienza di lavoro da remoto (55%) con alcune criticità: il 64% ritiene che generi isolamento, circa il 60% che non aiuti nei rapporti con i colleghi, oltre il 60% lamenta l’aumento dei costi delle utenze domestiche. Positiva, invece, la valutazione sulla libertà di organizzare il lavoro e gestire gli impegni familiari. La metà delle professioni qualificate può erogare oltre il 50% della prestazione da remoto, a fronte di un decimo delle professioni non qualificate.
Infine, se il lavoro agile entrasse a regime, oltre un terzo degli occupati si sposterebbe in un piccolo centro, quattro persone su 10 si trasferirebbero in un luogo isolato a contatto con la natura.
(Fonte: Il Sole 24 ore)