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Una delle poche costanti della storia della tecnologia, almeno fino a 30 anni fa, è che i cambiamenti epocali, rivoluzionari, che hanno fatto da spartiacque (il motore a scoppio, l’invenzione delle radio-telecomunicazioni, solo per fare due esempi), hanno sempre richiesto tempi molto lunghi: sia nella loro fase preparatoria, fatta di tutti i fallimenti e i successi che hanno portato alla loro realizzazione; sia nella fase successiva, intesa come il tempo necessario affinché i cambiamenti e le innovazioni venissero “metabolizzate”.

Da almeno un trentennio a questa parte, e possiamo considerare la nascita del web nel 1989 come spartiacque simbolico, non è più così: rivoluzioni tecnologiche di portata epocale (e planetaria) si impongono in tempi rapidissimi e altrettanto rapidamente cambiano il nostro modo di vivere.

Al di là di tutti gli altri effetti che questo produce, una conseguenza che è impossibile non trarre è che va ripensato, oggi, il concetto stesso di formazione: non più, o meglio non solo, competenze specifiche e “settoriali”, bensì un know-how il più trasversale possibile; e inoltre, la consapevolezza che la formazione va concepita come costantemente “in progress” e che nessuno che voglia dirsi “formato” o “aggiornato” può mai ritenere di aver raggiunto un livello adeguato di competenza. La formazione è continua nel senso che non finisce mai e mette continuamente in discussione sé stessa.

Il World Economic Forum ha intitolato il rapporto di gennaio 2019 “Towards a Reskilling Revolution”: ri-formare, ri-qualificare costantemente il personale delle aziende non solo è indispensabile, ma è anche economicamente conveniente, nella misura in cui consente di tenere in azienda professionalità che hanno bisogno di essere aggiornate.
E anche la politica dovrà fare la sua parte, in termini di sgravi e contributi per questo genere di attività formative.

(Fonte: Giornale di Brescia – Ufficio Studi SAEF)

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