“Con la cultura non si mangia” rappresenta senza dubbio una delle affermazioni più false e fuorvianti che siano mai state pronunciate. Innanzitutto perché con la cultura non si dovrebbe necessariamente mangiare: l’insieme dei saperi umani, delle arti, dei mestieri, in generale delle attività intellettuali che danno luogo a forme di espressione non immediatamente “convertibili” in valore (economico) aggiunto, quali la letteratura, la filosofia, la musica, la pittura, la scultura, prescindono e dovrebbero essere “immuni” dalla logica del mercato e dalle dinamiche costi-ricavi che governano (come è giusto che sia) le attività umane più “produttive”.
Un dipinto è bello perché realizzato con grande perizia, perché rappresenta un’innovazione nel proprio tempo o nella carriera del suo autore, perché ha segnato un’epoca o perché suscita in chi lo osserva forti emozioni: non perché è stato battuto milioni di sterline a Sotheby’s.
L’affermazione di cui sopra è falsa per un altro motivo, che emerge dallo studio coordinato da Symbola e Unioncamere: l’insieme delle imprese, delle pubbliche amministrazioni e delle onlus che in Italia lavorano attivamente nel campo culturale, ha “cubato” nel 2017 più di 92 miliardi di euro; 255,5 miliardi di euro, il 16,6% del valore aggiunto nazionale, considerando anche l’indotto.
Nel cosiddetto “Sistema Produttivo Culturale e Creativo”, inoltre, lavorano circa il 6,1% degli occupati in Italia.
Numeri riferiti al 2017, e in crescita rispetto all’anno precedente; e che hanno indotto l’Università della Pennsylvania a definire l’Italia il primo Paese al mondo per “influenza culturale”.
Le sole industrie culturali italiane producono (sono sempre dati del 2017) 33,6 miliardi di euro di valore aggiunto (il 2,2% del totale nazionale), e occupano circa 488mila lavoratori. Per l’industria creativa, i numeri parlano di 13,4 miliardi di valore aggiunto, con 261mila addetti.
(Fonte: repubblica.it)